13
Nov
Intervista a Maria Rosaria Di Somma – AISC
Se parliamo di paziente fragile a chi pensa?
Sicuramente penso al paziente affetto da scompenso cardiaco, sia perché è un paziente cronico sia perché la sua malattia, nella maggior parte dei casi, è caratterizzata dalla concomitanza con altre patologie croniche. Proprio la fragilità che lo caratterizza rende indispensabile che venga preso in carico dal sistema sanitario per tutto il percorso della malattia. Lo scompenso cardiaco è una patologia cronica che accompagna il paziente per tutta la vita: se non viene diagnosticata per tempo e curata con appropriatezza il paziente è assoggettato a continue ospedalizzazioni e re-ospedalizzazioni.
Nonostante il Ministero della Salute abbia emanato nel 2016 un provvedimento sulla cronicità con il quale sono state individuate le malattie croniche e la necessità che si proceda ad una gestione di tali patologie secondo un percorso diagnostico terapeutico assistenziale, poche sono le Regioni che si sono dotate di PDTA, almeno per lo scompenso cardiaco, e nei pochi casi di elaborazione, le procedure adottate non rispondono alle reali necessità dei pazienti. Siamo fermamente convinti che questo accade perché nella elaborazione dei provvedimenti, in generale non vengono coinvolte le associazioni dei pazienti al fine di assicurare provvedimenti effettivamente efficaci volti a migliorare le condizioni di vita del paziente.
Secondo lei c’è differenza fra fragilità e fragilità clinica?
Certamente sì. La fragilità intesa nel senso più ampio nel termine comprende lo stato della persona come vive e come convive con la sua malattia, come questa incide sulle abitudini della famiglia e sulle abitudini del paziente e nella sua socializzazione con gli altri ed in alcuni casi nella rinuncia alla cura. È fragilità anche non essere preparati all’evoluzione della malattia e cadere nella depressione allorquando il paziente non accetta di cambiare il proprio stile di vita.
La fragilità clinica è legata alla diagnosi precoce, alla appropriatezza della cura, all’assistenza che riceve e al carico burocratico a cui è assoggettato per assicurarsi le cure ed i controlli necessari. Molti pazienti cronici cambiano stile di vita interrompendo tutte le loro attività, mentre invece basterebbero gli adeguati consigli clinici da parte dei diversi specialisti in un sistema di cura integrato e multidisciplinare per aiutarli a convivere con la malattia.
Quindi accanto alla fragilità clinica lei mette all’interno del contenitore fragilità altri elementi di gestione di vita pratica quotidiana che pesano sul paziente?
Ognuno di noi ha una sua fragilità interiore che spesso viene fuori in situazioni drammatiche quale la diagnosi di una malattia cronica che ti accompagnerà per tutta la vita e che ti toglie tutte le speranze per il futuro!
Chi dovrebbe essere il riferimento del paziente fragile?
Certamente il suo medico di medicina generale ed il suo caregiver in grado di capire la malattia, la cura e le nuove condizioni di vita del paziente. Il medico di medicina generale però non deve essere lasciato solo, lui deve poter collaborare con gli altri specialisti secondo un dialogo circolare che veda il paziente al centro in un insieme tra specialisti e medico di medicina generale che collegialmente provvedono al percorso di presa in carico del paziente in tutto il corso dell’evoluzione della malattia.
Il paziente cronico è soggetto a frequenti ospedalizzazioni dovute spesso alla mancanza di una integrata presa in carico del paziente cronico complesso/fragile. Se l’assistenza a tali pazienti venisse assicurata ordinariamente in un sistema multidisciplinare integrato non solo si allungherebbe la vita del paziente, migliorandone le condizioni di vita, ma si avrebbero consistenti benefici economici sul sistema sanitario nazionale.
Chi dovrebbe essere il motore, il responsabile della verifica di questi percorsi?
Con decreto del Ministero della Salute del 21 novembre 2005 è stato istituito presso il Ministero, il Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (Comitato LEA) cui è affidato il compito di verificare l’erogazione dei LEA in condizioni di appropriatezza e di efficienza nell’utilizzo delle risorse, nonché la congruità tra le prestazioni da erogare messe a disposizione dal Servizio Sanitario Nazionale. Sarebbe interessante conoscere se questo controllo viene effettuato e quali sono i risultati, naturalmente sarebbe importante in tale Comitato inserire anche un rappresentante dei pazienti delle malattie croniche per assicurare riscontri più rispondenti alla realtà.
A quale figura professionale dovrebbe rivolgersi il paziente quando i suoi bisogni rimangono insoddisfatti?
La prima interfaccia del paziente è il suo medico di medicina generale, il quale conosce la storia clinica del paziente, le sue condizioni e la sua situazione familiare. È lui, secondo noi, che dovrebbe attivarsi per assicurare al paziente il “diritto alla salute”.
Che ruolo potrebbero giocare le Associazioni dei pazienti?
Il ruolo delle Associazioni dei pazienti di rappresentanza e di tutela dei diritti dei pazienti è fondamentale ed è di grande responsabilità. Purtroppo ad oggi ancora non esiste tale cultura presso le Istituzioni, ma bisogna perseverare per fare in modo che tale atteggiamento cambi offrendo alle Istituzioni collaborazione propositiva e concreta.
Esistono studi che hanno valutato i percorsi di presa in carico del paziente fragile?
Il riscontro dei percorsi di presa in carico del paziente sarà possibile quando tutte le Regioni avranno attuato i PDTA per le singole malattie croniche prevedendo il monitoraggio della fase applicativa affidandosi non solo alle strutture ma anche agli stessi pazienti.