Intervista al Dr. Salvatore Brugaletta, DG della ASL CN1

Intervista al Dr. Salvatore Brugaletta, DG della ASL CN1

“Il tema della fragilità appare essere sottostimato ed affrontato spesso con un certo grado di genericità, nonostante sia senza dubbio conosciuto” afferma Salvatore Brugaletta, Direttore Generale ASL CN1. Così risponde il DG dell’Azienda piemontese nell’intervista concessa per il sito della Fondazione Salvatore Maugeri.

Direttore, nella gestione di una azienda sanitaria locale, come si colloca il profilo del “paziente fragile”, ovvero un paziente che per cronicità e comorbidità risulta più vulnerabile e bisognoso di frequenti accessi sanitari?

In generale il problema è senza dubbio ampiamente conosciuto e gestito in tutto il sistema e da parte di tutte le Aziende. Attraverso un processo di analisi condotto in seno alla nostra ASL CN1 – Cuneo, possiamo dire che il tema appare essere sottostimato ed affrontato spesso con un certo grado di genericità. In altri termini, bisogna passare:

  • da una “conoscenza generica” e/o “parziale” ad una “conoscenza di sistema”. Allo stesso tempo, anche se può sembrare contraddittorio, c’è necessità di una formazione “puntuale” sui singoli target di pazienti cronici e fragili. Senza questi elementi non si può fare pianificazione strategica, non si possono definire obiettivi “ponderati” e “sostenibili” e non si possono generare “risultati di sistema”;
  • da un “approccio occasionale ed al bisogno” ad una “gestione sistematica e continua” dei pazienti presi in carico in modo “pro-attivo” (e quindi con strumenti organizzativi ed operativi adeguati), che eviti di “conteggiare” nelle nostre valutazioni solo i “pazienti visibili” (che usualmente ritroviamo nei nostri flussi di dati ospedalieri e territoriali e che rientrano nelle nostre statistiche) e non il grande numero di “pazienti sommersi” ( “in fuga” dall’assistenza, che presentano maggiori tassi di ricaduta, che muoiono prima e che generano la grande parte di ricoveri e dei costi evitabili).

Su questi temi stiamo lavorando nella nostra ASL. In particolare, abbiamo realizzato:

  • un processo di “stratificazione” della popolazione, che ci permette di individuare non solo i pazienti fragili “conclamati” ma anche coloro che sono a rischio;
  • un processo di “stadiazione” dei pazienti, condiviso tra chi ha responsabilità “cliniche” e chi ha responsabilità “assistenziali”, non solo frutto del classico “disease staging” ma che, accanto a questo, definisca “percorsi medi di presa in carico e di assistenza integrati” monitorabili attraverso indicatori di processo e di esito intermedio e che legga il risultato in rapporto al “totale dei pazienti”, cioè al denominatore di “popolazione-target dell’ASL” che deriva dalla suddetta stratificazione;
  • un processo di “profilazione”, cioè di traduzione dei “percorsi assistenziali medi” in un “Percorso di Cura Personalizzato” in relazione alle caratteristiche dei singoli pazienti.

Su questi temi la nostra ASL è in possesso di dati monitorati in progress. Ciò permetterà di valutare gli esiti di questi programmi. Purtroppo, l’emergenza Covid-19 sta indubbiamente generando un rallentamento dello sviluppo del programma nel 2020.

A suo parere è un tema compreso a sufficienza dal Servizio Sanitario Regionale della Sua realtà e dalla macchina amministrativa nel suo complesso?

In Piemonte, dal 2017 vi è stata una presa in carico molto significativa da parte del Sistema Regionale, che ha adottato un proprio Piano Regionale Cronicità ed ha poi attivato un processo formativo (dapprima rivolto a 4 Aziende-pilota e poi esteso a tutta la Regione), che ha permesso ad ogni Azienda, territoriale ed ospedaliera, di articolare un proprio Piano Locale (aziendale) Cronicità e di attuarlo. La nostra Azienda è stata una delle Aziende-pilota che, attraverso “Comunità di Pratica”, hanno potuto mettere a punto un adeguato disegno organizzativo ed operativo e definire specifici PDTA per i target di pazienti prioritari.

Quali sono le attuali criticità nella presa in carico del paziente fragile?

Un noto elemento critico, su cui stiamo implementando progettualità volte alla sua risoluzione, è il raccordo con il “sociale”, dato che, come ben noto, le fragilità sociali incidono prorompentemente sulle fragilità cliniche e viceversa. Questo è un tema che nel contesto cuneese viene affrontato attraverso un processo di condivisione con tutti i Comuni.

Un altro elemento molto trascurato nel suo effettivo potenziale (come testimoniano i dati di letteratura) è quello del “patient empowerment”, che, attenendosi ai dati forniti dal SSN inglese (NHS) e dall’IHI (Institute for Healthcare Improvement) americano, è in grado di ridurre mediamente il 50% dei ricoveri e degli accessi all’assistenza primaria ed il 17% della specialistica (di cui lo stesso NHS riconosce un’alta % di uso inappropriato). Il Servizio Sanitario, se non in sporadiche esperienze, non si è rivelato ancora in grado di prendere in carico un’offerta di “empowerment” sistematico, per gruppi e per singoli pazienti, che coinvolga, quando necessario anche i caregiver. Nell’esperienza dell’ASL CN1, nella quale gli Ambulatori della Salute da tempo sono impegnati sul fronte dell’educazione del paziente, si sta rivedendo criticamente tale offerta, organizzando un’offerta sistematica e continua, che, pur mettendo al centro dell’azione educativa l’Ambulatorio della Salute, coinvolga tutti gli attori della rete (MMG e Ospedali, ed anche i Comuni ed il Volontariato), condizione, quest’ultima, indispensabile per rendere efficace questa offerta.

Come si può superare la frammentarietà di presa in carico tipica dei percorsi di cura di questi pazienti, che si rivolgono a specialisti diversi senza un piano di cura condiviso?

Posso raccontare come la realtà della mia ASL cerca di risolvere questa importante criticità. Nella ASL CN1 la presa in carico delle persone affette da patologie croniche, più a rischio di fragilità clinica, nell’ambito della riorganizzazione della rete assistenziale è rappresentata dagli “Ambulatori della Salute”, che descrivono un modello organizzativo di assistenza integrata tra il MMG e la specialistica territoriale ed ospedaliera e sono gestiti da infermieri di comunità adeguatamente formati che sono garanti del percorso ed operano secondo il modello del case management.

Attualmente sono stati attivati, in tempi diversi, sul nostro territorio 12 ambulatori della salute che coprono una popolazione di 130.000 abitanti (sui 450.000 assistiti della ASL CN1) ed al loro interno vengono seguite attivamente oltre 1300 persone nell’ambito dei seguenti PDTA: Diabete tipo 2, Scompenso cardiaco, Rischio Patologie cardiovascolari e BPCO. Sono già da tempo operanti, inoltre, 13 Ambulatori di Diabetologia, che ad oggi hanno preso in carico 21.224 pazienti.

Il raccordo con gli Ospedali viene gestito attraverso lo strumento delle “Dimissioni Assistite” – in corso di implementazione sistematica – che implica la comunicazione (attraverso una Scheda-paziente che prevede anche la stadiazione) al MMG ed all’Ambulatorio della Salute di riferimento della dimissione dei pazienti cronici (anche in piena autosufficienza) con la conseguente “presa in carico” da parte del territorio per ridurre il fenomeno del “drop out” dei pazienti.

V’è da aggiungere che un ulteriore elemento da tenere in considerazione è la revisione critica della metodologia di costruzione e di gestione dei PDTA. Gli aspetti più critici (e, ahinoi, diffusi) di tali strumenti sono legati all’autoreferenzialità delle singole parti dell’organizzazione sanitaria e dei professionisti.

I PDTA devono essere strumenti “integrati e condivisi”, costruiti secondo principi metodologici rigorosi, che mettano insieme i diversi punti di vista (clinico, organizzativo-assistenziale e “salute globale” del paziente-persona) e definiscano obiettivi coerenti con le effettive potenzialità ed individuino indicatori di risultato adeguati. Anche su tale tema l’ASL CN1 ha un impianto assolutamente particolare di “metodo dei PDTA”, co-costruiti tra i vari professionisti della cura attraverso specifici “audit integrati”.

Quali interventi organizzativi e normativi sarebbero opportuni per ottimizzare i percorsi assistenziali dei pazienti fragili?

Innanzitutto, è prioritario rivedere i modelli organizzativi, spostandosi su logiche e prassi di “reti integrate” che portino con sé nuovi livelli di “competenze/responsabilità” e che valorizzino i “best performer” del sistema (basta con gli “appiattimenti valutativi” del personale e degli strumenti di progressione delle carriere nel sistema pubblico!). Le nuove responsabilità delle reti – applicate secondo uno sviluppo “orizzontale” delle organizzazioni e secondo i principi della “lean organization” – tenderanno a far emergere nuove leadership (di prodotto, di percorso, di risultato), orientate alla cronicità ed alla fragilità, che supporteranno le classiche linee di responsabilità gerarchica, troppo oberate per riuscire a governare un processo complesso e così sistematico.

Quale impatto economico-finanziario determina la gestione del paziente fragile rispetto alla presa in carico dei pazienti in acuzie, sia in ospedale che sul territorio?

La presa in carico di pazienti fragili e/o cronici basata su un modello proattivo può comportare sicuramente a medio lungo termine una maggiore efficienza nella gestione di questi pazienti (riduzione dei ricoveri ospedalieri, minori accessi in DEA, minor utilizzo della specialistica ambulatoriale ospedaliera e territoriale, etc…). Dai dai dell’ASL CN1 – ed il fenomeno è certamente diffuso – circa il 50-60% sono i pazienti cronici che accedono ai PS ed ai reparti ospedalieri, generando il fenomeno difficilmente controllabile del sovraffollamento (overcrowding).

Il follow up attivo territoriale (con recall dei pazienti in drop out) e l’empowerment dei pazienti e dei caregiver sono gli strumenti – ormai consolidatosi in letteratura – in grado di ridurre significativamente i ricoveri e in generale l’uso improprio dei servizi.

Nella Sua esperienza, la continuità ospedale-territorio è stata attuata e in che modalità per questa tipologia di pazienti?

Alla luce delle indicazioni contenute nel P.S.S. anni 2012-15 e le indicazioni della DGR 27 – 3628 del 28/03/2012 ” La rete territoriale: criteri e modalità per miglioramento dell’appropriatezza e presa in carico territoriale”  l’ASL CN1 e l’A.O. Santa Croce Carle, di concerto,  hanno sviluppato una modalità organizzativa che permette il superamento della frammentazione ultraspecialistica attraverso un intervento integrato ed intersettoriale tra le componenti professionali intra ed extraospedaliere.

Si concretizza tale modalità attraverso il “Progetto Quadro per il Percorso integrato di Continuità di Cura Ospedale – Territorio” che prevede la realizzazione di una presa in carico del paziente dall’inizio fino al completamento del suo percorso di cura. L’obiettivo è di fornire, senza soluzione di continuità, le cure e l’assistenza dei vari soggetti erogatori con l’integrazione e l’ottimizzazione dei Servizi Sanitari e Socio-assistenziali per dare ai cittadini “fragili” risposte adeguate ed appropriate ai bisogni espressi.

La modalità organizzativa prevede l’istituzione di due Nuclei:

  • NOCC (fase ospedaliera) Nucleo Ospedaliero Continuità Cure
  • NDCC (fase territoriale) Nucleo Distrettuale Continuità Cure

l’obiettivo del NOCC, in collaborazione con il NDCC, è assicurare all’utente la più idonea continuità clinica ed assistenziale ed una presa in carico territoriale. Per questo motivo viene elaborato un piano di intervento che coinvolge, oltre l’interessato, i suoi famigliari, l’Assistente Sociale Ospedaliera, il NDCC (il quale a sua volta attiverà il MMG, il Servizio Sociale di residenza o l’UVG, Unità Valutazione Geriatrica) attraverso la valutazione clinico-assistenziale del paziente, individuando il setting adeguato ed in concerto con il NDCC la condivisione del percorso identificato

Il NOCC è composto da figure Infermieristiche e Assistente Sociale avvalendosi del Dirigente Medico referente, della Direzione Sanitaria di Presidio e dello sportello sociale ospedaliero

Come già ricordato, è in fase di implementazione la gestione della dimissione assistita dei pazienti cronici già a regime per i pazienti fragili, attraverso un raccordo strutturato tra il NOCC e il NDCC per l’integrazione circolare territorio/ospedale/territorio tramite la presa in carico tracciata da piani di cura personalizzati sulla base di percorsi per target predefiniti e condivisi.

Ci può essere una collaborazione tra pubblico e privato nell’offerta assistenziale per questo tipo di pazienti?

Riteniamo che una collaborazione pubblico-privato in questo ambito ci possa e ci debba essere, considerato il ruolo importante del privato come partner del sistema pubblico, che, peraltro, ha come principio-base la libertà del paziente di scegliere i propri riferimenti assistenziali. Bisogna, inoltre, considerare l’altissimo numero di pazienti cronici e fragili “sommersi”, nel senso che sfuggono ad un disegno di “cure attive” (cosa che genera enormi costi di salute, oltre che dispendio di risorse economiche), che potrebbero trovare risposte assistenziali adeguate ed efficaci in una prospettiva di integrazione pubblico-privata. Tale collaborazione deve, quindi, essere perseguita, definendo in modo chiaro, ovviamente, il “potenziale” ed il “quadro di offerta”, in modo da evitare eventuali sovrapposizioni ed inutili concorrenzialità a livello locale.