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Mag
Covid-19: intervista al Prof. Antonio Spanevello
La fragilità espone al Covid. Gli italiani hanno avuto chiaro, sin dall’esordio della pandemia, con le prime zone rosse lombarde che le prime vittime del Coronavirus erano le persone fragili dal punto di vista della loro condizione di salute. In una drammatica accelerazione, il vocabolario medico collettivo ha annesso queste parole, “fragile” e “fragilità”, come lemmi tra i più citati.
Da un punto di vista clinico, però, che cos’è accaduto esattamente a questi pazienti? Lo abbiamo chiesto al professor Antonio Spanevello, ordinario di Malattie respiratorie presso l’Università Insubria nonché responsabile dei programmi scientifici di Fondazione Salvatore Maugeri, ma anche direttore di un ospedale, l’IRCCS Maugeri di Tradate (Va), che tra i primi ha allestito un’area Covid per quei pazienti in uscita dalle rianimazioni.
Professore, che cosa ha caratterizzato, nella sua esperienza clinica, il paziente fragile colpito dall’infezione da SARS-COV-2?
Beh, intanto il numero enorme di soggetti contagiati nel mondo ed un impatto importante soprattutto per il paziente anziano e comorbido. Sintomi respiratori rilevanti come dispnea ed ipossiemia possono comparire dopo circa 8/9 giorni dall’inizio dell’infezione con un ulteriore peggioramento dopo circa 10 giorni dall’infezione che può richiedere il ricovero presso la terapia intensiva per insufficienza respiratoria e/o sindrome acuta da distress respiratorio.
Come ha operato il virus?
L’enorme diffusione del virus è determinata dalla facilità di ingresso nell’organismo che sfrutta, come il precedente coronavirus SARS-COV-1, il recettore “angiotensin-converting enzyme 2” (ACE2) presente su molte cellule ed in particolare sulle cellule del polmone. Dal punto di vista immunologico, in una prima fase l’infezione sembrerebbe indurre una classica risposta immune a virus con neutralizzazione delle cellule infettate da parte delle cellule effettrici della risposta immunitaria innata.
E che cosa accade, in seguito?
A questa segue l’attivazione dell’immunità acquisita con il riconoscimento da parte di linfociti T di porzioni di proteine virali e lo sviluppo di linfociti T citotossici specifici per il virus e la produzione da parte dei linfociti B diventati plasmacellule di anticorpi specifici IgM e IgG.
Non sempre accade, però
In una piccola percentuale di casi, soprattutto anziani e con altre patologie croniche, in una seconda fase la risposta immunologica/infiammatoria indotta dall’infezione sembra diventare abnorme e non essere più controllabile dall’organismo. I meccanismi che prendono il sopravvento sono mediati da una cascata di citochine pro-infiammatorie (IL-6, TNF-a, IL-1, etc..) e mediatori della coagulazione e del danno endoteliale che possono portare al rapido declino della funzionalità polmonare e multiorgano.
Con quali segnali?
Il precipitare della situazione clinica si accompagna o è preceduta in alcuni casi da diminuzione del numero di linfociti, dalla diminuzione della percentuale di neutrofili da un incremento di LDH, angiotensina II e proteina C reattiva (CRP). L’età è un potente predittore di esito negativo in casi di Covid-19, soprattutto negli uomini a causa dell’influenza che gli ormoni possono avere sul sistema immune. Diversi studi hanno dimostrato che nell’anziano il numero, il fenotipo e la funzione delle cellule natural killer, cellule effettrici della risposta innata ai virus, sono alterate. Le cellule dell’immunità acquisita, linfociti B e T, hanno una ridotta funzionalità antigene specifica nell’anziano riconoscendo prevalentemente porzioni di patogeni conservate che spesso non forniscono una buona protezione nei confronti dei patogeni stessi. Inoltre l’invecchiamento si accompagna ad un processo infiammatorio cronico in alcuni casi subclinico e in molti casi aumentato dalle patologie tipiche dell’anziano.
Si è molto parlato della comorbidità come tragico fattore di rischio.
I pazienti morti di Covid-19 avevano in circa il 30% dei casi malattie cardiovascolari, diabete, malattie respiratorie croniche, ipertensione e cancro. La gran parte di queste patologie croniche determina cambiamenti nell’ematopoiesi, nella capacità di risposta dell’immunità innata ed acquisita con uno sbilanciamento verso uno un profilo infiammatorio che potrebbe alimentare e rendere scarsamente controllabile la risposta indotta dal virus.
Per esempio?
Aumento della pressione arteriosa, rischio di infarto del miocardio, di coronaropatia e di stroke sono stati già evidenziati dopo infezioni da virus. Il paziente cronico caratterizzato speso da fragilità è quindi tra i più colpiti dall’infezione da SARS-COV-2 e tra quelli in cui l’infezione determina più frequentemente insufficienza respiratoria complicanze e morte.
Un quadro che mobilità la medicina riabilitativa.
È una sfida importante nel prossimo futuro quella di seguire i pazienti che nonostante la gravità dell’infezione sono riusciti a guarire per determinare gli esiti sia a livello polmonare che metabolico. Percorsi riabilitativi adeguati sono utili per questi pazienti in modo da favorirne il recupero funzionale.