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Intervista al Prof. Luca Chiovato – Direttore del Dipartimento di Medicina Interna di ICS Maugeri Milano e Ordinario di Endocrinologia presso l’Università di Pavia
Se parlo di “paziente fragile” a chi pensa?
A mia madre che ha 93 anni, una forma lieve di Alzheimer che però le ha cancellato la memoria, varie cadute di cui una con frattura di femore, un’ulcera gastrica recidivante che spesso le rende il cibo “ostile”, una sarcopenia nonostante un fisioterapista dedicato, la perdita di autonomia nei passaggi posturali ormai limitati a sedia a rotelle-letto.
A suo parere è un tema conosciuto/compreso da medici e istituzioni sanitarie?
Parzialmente: in genere la “fragilità” è ritenuta l’inevitabile conseguenza di senescenza e di poli-patologie croniche.
Quali sono le attuali criticità a suo parere nella presa in carico del paziente fragile?
La risposta a questa domanda richiede un’analisi del concetto di fragilità. Esiste una fragilità organica (psico-neuro-motoria associata a compromissione di vari organi e apparati) del paziente anziano, spesso affetto da multiple patologie croniche, e una fragilità socio-economica. La seconda dipende dalla limitata disponibilità di coping skills (anche familiari) e da una “sindrome da disadattamento all’ambiente”. Paradossalmente viviamo in un mondo “costruito per i giovani” (consumistico, dominato dalla mobilità e dalla globalizzazione, ipertecnologico, digitalizzato), ma popolato prevalentemente da anziani. Il medico, soprattutto quello ospedaliero, può farsi carico della fragilità organica, ma ha (o potrebbe avere) solo un ruolo consultivo verso le istituzioni per quella socio-economica.
Chi è o dovrebbe essere il riferimento di questo paziente?
In ambito sanitario, il primo riferimento rimane il medico di medicina generale (MMG), che una volta era più appropriatamente definito come il medico di famiglia e che, purtroppo, talora si è allontanato da questo ruolo.
Quali soluzioni immagina per la gestione della presa in carico appropriata del paziente fragile, anche a seguito dei cambiamenti imposti dalla pandemia di Covid-19?
Indipendentemente dalla pandemia Covid-19, che ha reso più evidenti le problematiche del paziente fragile, si possono immaginare i seguenti ambiti:
1) rafforzare la consapevolezza degli MMG e dei caregiver sulla “fragilità” come condizione patologica a sè stante, meritevole di interventi attivi (nutrizionali, di stile di vita, farmacologici, riabilitativi);
2) rafforzare l’interazione tra MMG e ospedale per acuti per prevenire e, possibilmente evitare, il troppo facile e spesso inappropriato ricorso al Pronto Soccorso;
3) rafforzare i rapporti tra reparti per acuti e reparti riabilitativi in maniera tale che ad ogni evento patologico acuto segua un progetto riabilitativo che ne mitighi le conseguenze organiche e funzionali;
4) rendere più snelli i percorsi riabilitativi per colmare il gap tra l’elevato turnover dei ricoveri nei reparti per acuti rispetto a quelli riabilitativi (questo gap rende talora impossibile iniziare il percorso riabilitativo immediatamente dopo l’evento acuto);
5) valorizzare nel territorio e negli ospedali la prevenzione e la cura delle NCD (Non-Communicable Diseases: obesità, diabete, ipertensione, dislipidemia, osteoporosi, insufficienza renale), in epoca pre-Covid le principali cause di poli-patologia, danno cardiovascolare, danno scheletrico e della conseguente fragilità e disabilità;
5) creare nel territorio “centri diurni per anziani” che integrino il supporto sanitario-riabilitativo con momenti di socializzazione-ricreatività, e che facciano da interfaccia tra MMG e ospedale.
Sono necessari studi e/o iniziative per condividere con la comunità scientifica la definizione di “paziente fragile” e i suoi bisogni?
La ricerca scientifica è alla base di qualsiasi progettualità, sia medica, sia sociosanitaria, atta a fornire una risposta ai bisogni del paziente “fragile”. In questo ambito sarebbero opportuni studi epidemiologici e clinici per “fotografare” con maggior precisione la realtà italiana, analizzando, per esempio, incidenza e ruolo delle singole patologie, dei deficit nutrizionali e dello stile di vita.
Un’alleanza tra classe medica e Associazioni Pazienti potrebbe essere utile a portare queste istanze alle Istituzioni?
Come sempre l’alleanza tra medici e associazioni pazienti è fondamentale per richiamare l’attenzione delle istituzioni sul problema della fragilità. I “politici” che controllano le istituzioni sono notoriamente più sensibili alle istanze della popolazione rispetto a quelle dei medici.