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Intervista al Prof. Stefano Carugo, Direttore UOC Cardiologia Policlinico di Milano
Se parlo di “paziente fragile” a chi pensa?
Vivendo e lavorando a Milano, penso agli 80.000 milanesi anziani, in grande maggioranza over 80, che sono soli, chiusi in casa, che non hanno più un contesto familiare vicino e i cui unici contatti con il mondo esterno sono il medico di famiglia ma soprattutto la televisione. Queste persone sono per me i pazienti fragili, da un punto di vista sociosanitario: molto spesso, infatti, questi pazienti sono fragili soprattutto dal punto di vista sociale e solo in misura minore dal punto di vista sanitario.
Dal punto di vista sanitario, nel determinare la fragilità rivestono grande importanza le classiche patologie che sono tipiche dell’anziano: ipertensione, cardiopatia ischemica, BPCO, diabete, etc. Anche perché non esiste l’anziano con una sola patologia, si tratta di una condizione piuttosto rara. È molto più comune riscontrare più di una patologia in questi pazienti, anche considerandone la storia clinica: molto spesso si nota come questi pazienti siano andati incontro a infarto, ictus, frattura del femore, e questo indubbiamente complica il loro grado di fragilità sociosanitaria.
A suo parere è un tema conosciuto/compreso da medici e istituzioni sanitarie?
Secondo me se ne parla molto ma il tema non è ancora del tutto compreso, perché nonostante l’apertura del dialogo, gli 80.000 anziani milanesi cui facevo riferimento continuano a rimanere soli e chiusi in casa. È indubbio che l’Italia sia il paese più vecchio al mondo, e questo problema sarà ancora più marcato nel futuro: si prevede che nel 2050 la popolazione italiana avrà un’età media di 82 anni nei maschi e di 86 nelle femmine. Le Istituzioni devono sicuramente pensare a una nuova residenzialità per gli anziani, ma anche a nuove modalità di gestione a domicilio, poiché spesso il semplice gesto di uscire di casa e raggiungere il luogo di erogazione dei servizi sociosanitari risulta difficoltoso. Per questi motivi già molti pazienti fragili hanno difficoltà nell’ottenere le prescrizioni e nella comunicazione.
Certamente gli anziani del futuro, coloro che sono adulti oggi e che vivono già un mondo digitalizzato, avranno meno difficoltà nell’utilizzo della tecnologia (smartphone, tablet, telemedicina, etc), che mette così a dura prova gli anziani di oggi. E proprio guardando agli anziani di domani, la tecnologia sarà sicuramente un pilastro della gestione domiciliare dei pazienti fragili in un futuro relativamente prossimo, ma le basi di questo cambiamento dobbiamo cominciare a posarle oggi.
Quali sono le attuali criticità a suo parere nella presa in carico del paziente fragile?
Ritengo che la criticità principale nella presa in carico dei pazienti fragili sia a livello istituzionale: si dà per scontato che i pazienti fragili possano muoversi da casa ed accedere ai servizi ospedalieri, per esempio. La situazione pandemi ha dimostrato e continua a dimostrare quanto questo non sia vero. Esistono difficoltà nel raggiungere il proprio medico di famiglia o uno specialista.
Si riscontrano poi anche problemi economici: si crede che tutte le prestazioni vengano erogate ai pazienti fragili gratuitamente dal Servizio Sanitario Nazionale, ma purtroppo le liste d’attesa sono ancora molto lunghe e alcuni pazienti fragili rinunciano alle visite, impedendo un adeguato controllo e trattamento proprio in coloro che maggiormente ne hanno bisogno.
Chi è o dovrebbe essere il riferimento di questo paziente?
Indubbiamente il Medico di Medicina Generale (MMG) gioca un ruolo centrale in tal senso. Probabilmente però ciò non è sufficiente ed è necessario pensare a nuove figure di professionisti sanitari che a livello territoriale siano in grado di supportare questi pazienti, che, ci tengo a sottolinearlo nuovamente, spesso non hanno bisogno di un farmaco o di un esame aggiuntivo, ma di un contatto e di un sostegno sociale. Pertanto, gli interventi a sostegno del paziente fragile (e dei loro familiari e caregiver) non dovrebbero focalizzarsi sul solo aspetto sanitario ma soprattutto su quello sociale: per cui sicuramente il MMG è un attore fondamentale, ma anche operatori sociosanitari, infermieri di famiglia o altre figure, a volte più efficaci anche dei Medici di Famiglia.
Quali soluzioni immagina per la gestione della presa in carico appropriata del paziente fragile, anche a seguito dei cambiamenti imposti dalla pandemia di Covid-19?
Ad oggi, in una situazione in cui è assolutamente sconsigliato recarsi in ospedale, dovremmo concentrarci sul fornire servizi di assistenza domiciliari più accurati, attraverso l’implementazione del rapporto MMG-medico specialista. In seconda battuta, potremmo immaginare una forma di residenzialità “ospedaliera leggera” oppure di appartamenti controllati, per esempio co-housing. Queste potrebbero essere soluzioni che rispondono alle esigenze di persone che non necessitano di un’assistenza sanitaria intensa come quella ospedaliera o di un’assistenza sociosanitaria costante erogabile in una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA), ma non sono in grado di sostenersi autonomamente all’interno della propria casa.
Ritengo sia da ripensare un sistema di welfare domiciliare dedicato a queste persone, per esempio prendendo spunto dalle esperienze dei paesi del Nord Europa, come ho fatto quando ero Assessore ai servizi sociali del Comune di Monza, e adattarli alla nostra cultura, che sicuramente è caratterizzata da una socialità più spiccata e da maggior contatto con i propri familiari.
Sono necessari studi e/o iniziative per condividere con la comunità scientifica la definizione di “paziente fragile” e i suoi bisogni?
Più che studi ritengo sia doveroso sensibilizzare tutti gli attori del sistema. Questa sensibilizzazione risulta di particolare importanza per la dimensione numerica della popolazione coinvolta: a Milano il 25% delle persone ha ormai più di 65 anni, una percentuale destinata a raggiungere il 28-30% nel giro di una decade. Quindi i numeri del fenomeno sono enormi. Per questo una sensibilizzazione delle Istituzioni, dei familiari e della popolazione stessa risulta fondamentale: è necessario che le istituzioni comprendano in fretta il fenomeno per poterlo gestire in futuro, da un lato, è bene che i clinici comprendano l’aspetto sociale della fragilità, D’altro canto, ai medici di medicina generale e ai familiari deve risultare più evidente l’importanza dell’aspetto sanitario.
Un’alleanza tra classe medica e Associazioni Pazienti potrebbe essere utile a portare queste istanze alle Istituzioni?
Ad oggi esistono soprattutto Associazioni Pazienti di patologia più che di fragilità in senso più largo. Ritengo che un’alleanza possa essere utile ma che ci sia una dispersione di forze all’interno dell’associazionismo che potrebbe non giovare poi ai pazienti fragili.
C’è qualcosa che vuole aggiungere sul tema del paziente fragile?
Vorrei solo fare un appello finale: è necessario che di fragilità e di pazienti fragili se ne parli di più. Diamo per scontato che questi temi siano già super trattati, ma questo forse è vero solo in contesti ristretti. Ciò che è veramente importante è la persona fragile e che riceva il supporto di cui ha necessità. Mi capita per esempio di rilasciare alcune interviste televisive e mi sono reso conto che in determinati orari, attraverso il mezzo televisivo, si raggiungono tantissimi anziani. Dobbiamo quindi tenere conto di come comunicare con i pazienti fragili, che non usano i social ma mezzi come la televisione e la radio.