Intervista al Prof. Claudio Gasperini, Direttore UOC Neurologia e Neurofisiopatologia, San Camillo Forlanini, Roma

Intervista al Prof. Claudio Gasperini, Direttore UOC Neurologia e Neurofisiopatologia, San Camillo Forlanini, Roma

Se parlo di “paziente fragile” a chi pensa?

Penso ai pazienti affetti da sclerosi multipla, ai pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica e da una serie di altre malattie neurodegenerative e infiammatorie. La connotazione che li definisce è quella della fragilità clinica, con delle caratteristiche specifiche correlate alle singole malattie neurodegenerative che affliggono questi pazienti: coloro che sono affetti da sclerosi multipla sono generalmente giovani adulti che si trovano ad avere importanti limitazioni all’avanzare della malattia. In altre patologie neurodegenerative, i pazienti sono meno giovani ma la progressione della disabilità è molto rapida.

A suo parere è un tema conosciuto/compreso da medici e istituzioni sanitarie?

Io credo che sia un tema a cui ci si sta avvicinando e in cui si sta facendo formazione, ma che richiede ancora molto lavoro.

Probabilmente quest’ultimo anno, caratterizzato dall’epidemia Covid che tanto ha colpito i più fragili, ha indotto una più profonda riflessione su questi pazienti, portando a una valutazione molto più ampia. Non si parla più, infatti, di fragilità identificata solo dal punto di vista clinico, ma anche sociosanitario. Molto spesso, infatti, i pazienti più fragili sono collocati in un contesto territoriale dove l’organizzazione sanitaria e sociosanitaria ha enormi limiti, che generano grandi difficoltà per i pazienti, non in grado di interagire con i centri super specializzati dell’ospedale. In queste condizioni, purtroppo, i pazienti rischiano di rimanere isolati.

Quali sono le attuali criticità a suo parere nella presa in carico del paziente fragile?

Parlando di questo momento che stiamo vivendo, direi che la criticità principale è la mancanza di un collegamento coordinato tra centro clinico specializzato e territorio referente. La pandemia ha fatto emergere la difficoltà organizzativa del servizio sanitario nel tenere in contatto i centri specializzati con il territorio dando un supporto continuo ai pazienti fragili

In particolare, molti pazienti disabili, con disturbi motori hanno difficoltà a muoversi da casa ed in alcuni casi se associato alla presenza di difficolta economiche, si ritrovano soli, senza alcun tipo di riferimento.

Se funzionassero bene i PDTA (Percorsi Diagnostico-Terapeutici-Assistenziali) che ciascuno di noi ha costruito a livello regionale e nazionale, in cui si è lungamente discusso della necessità di interazione tra centro e territorio, avremmo in parte risolto questi problemi.

Ad esempio, nella Regione Lazio, in cui opero, nel PDTA per la sclerosi multipla si è creato sul territorio un PUA (Punto Unico di Assistenza) in cui si dovrebbero coordinare tutte le figure professionali coinvolte, dal medico di medicina generale allo psicologo, al riabilitatore, al fisiatra, all’assistenza domiciliare. Nella realtà dei fatti, tutto questo presenta limitazioni nella sua corretta applicazione clinica.

Quali soluzioni immagina per la gestione della presa in carico appropriata del paziente fragile, anche a seguito dei cambiamenti imposti dalla pandemia di Covid-19?

Non è facile immaginare soluzioni per problemi così complessi. Forse nel futuro prossimo presteremo maggiore attenzione all’organizzazione sociosanitaria, forti dell’esperienza che l’epidemia ci ha imposto. Forse per la prima volta cominceremo a valutare la funzionalità dei PDTA che abbiamo implementato, utilizzando gli indicatori creati e che spesso sono impossibili da utilizzare. Infatti, non è infrequente che i flussi informativi che dovrebbero alimentare gli indicatori non siano correlati agli indicatori stessi, rendendone impossibile la valutazione. Le istituzioni si stanno rendendo conto di questa problematica. All’interno del Ministero della Salute, infatti, si è insediata una commissione che sta studiando gli indicatori per renderli più generalizzabili, cioè utilizzabili per più patologie neurologiche, e che siano valutabili attraverso i dati provenienti dai flussi informativi. Inoltre, questi nuovi indicatori avranno un’altra caratteristica interessante, perché verranno utilizzati per valutare i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), un passo in avanti importante che potrebbe portare risultati.

Una seconda opzione che potrebbe migliorare la presa in carico del paziente fragile coinvolge la telemedicina, una tematica molto promettente e su cui vi sono investimenti europei importanti. Ci sono molti progetti ed è necessario comprendere quanto ciascuno di questi possa essere applicato nella realtà della pratica clinica quotidiana. Inoltre, è necessario considerare come la telemedicina e tutte le opzioni digitali di assistenza possano essere un supporto, ma il rapporto medico-paziente e l’empatia rimangono elementi cruciali.

Sono necessari studi e/o iniziative per condividere con la comunità scientifica la definizione di “paziente fragile” e i suoi bisogni?

Finalmente si è posta l’attenzione sulla fragilità del paziente, come dimostrato anche dal piano vaccinale che definisce “fragili” le categorie che hanno diritto ad un accesso prioritario ai vaccini. Però la definizione di fragilità non è ancora universale e quindi probabilmente abbiamo ancora necessità di sensibilizzare molto sul concetto di fragilità, che non si limita alla fragilità clinica ma anche sociosanitaria.

Un’alleanza tra classe medica e Associazioni Pazienti potrebbe essere utile a portare queste istanze alle Istituzioni?

Sì, ma a condizione che si crei una vera e propria partnership che valuta in maniera equilibrata quelle che sono i bisogni dei pazienti ed allo stesso tempo quelli che sono i bisogni dei clinici che spesso non sono in grado di dare risposte per la scarsezza di risorse umane ed organizzative.

È quindi necessario lavorare con un obiettivo comune, e quando questo avviene, quando ognuno porta le proprie competenze, in una situazione di sussidiarietà circolare, i risultati che si ottengono sono di grandissima qualità.